Borzonasca, 5 ottobre 2023


Il mio nome è Nausicaa Giulia Bianchi e sono la creatrice di The Soul and The Machine.
Sono colei che ne definisce ogni anno il programma, che sceglie gli approfondimenti, gli ospiti, e seleziona i partecipanti.
Diversi sono i docenti che vi accompagneranno in questo viaggio, ma io sarò il mentore che incontrerete più spesso e che terrà le fila del vostro percorso.

Ho studiato fotografia negli Stati Uniti presso l’International Center of Photography dove tuttora sono docente, e questo luogo ha influenzato molto il mio modo di insegnare: 
  • la parte esperienziale è fondamentale: fotografare sperimentando;
  • la contaminazione: non c’è separazione tra i generi. Persino tra il ritratto e il paesaggio ci può essere relazione all’interno di una foto unica. Essere un autore è non avere immagini precostituite e formule di mercato da seguire o mode;
  • la capacità di accettare critiche e non solo complimenti: questo è un corso in cui si va a fotografare e si torna guardando le foto con onestà. Cosa ha funzionato e cosa no? L’ego deve restare fuori dal discorso;
  • la voglia di spingere, di non fermarsi, di lavorare duro: le nostre foto iniziano dove si sono fermati tutti gli altri fotografi.

La mia formazione è interdisciplinare; ho frequentato scuole di fotografia, scultura, pittura, filosofia, informatica, e teologia. Ho anche interessi personali variegati che vanno dalla letteratura all’etologia e la scienza. Anche questo ha influenzato il modo in cui insegno fotografia, perché non utilizzo solo strumenti da “bottega fotografica” ma tutto quello che ho vissuto e imparato anche attraverso altre discipline.

“Da un certo punto in poi non c'è più ritorno. È questo il punto da raggiungere.”
--- Franz Kafka

Nel 2024 ILGIOCO compie sette anni.
Ogni anno il corso è cresciuto, è diventato più ambizioso e si è arricchito. Questa edizione è matura, è divertente ma anche sfidante. Prova a offrire un modo di insegnare fotografia che è diverso da quello che trovate spesso in un panorama come quello italiano.

Qui si chiede tantissimo ai partecipanti, ma non li si ingabbia in stereotipi e non li si spinge verso un risultato immediato. Impariamo a essere come contadini che si prendono cura del campo ogni giorno, ma che sanno che ci vuole tempo perchè il giardino fiorisca, e pratichiamo la pazienza e la fiducia nel percorso.

Questo è un corso senza furbizie, senza scorciatoie. Non ci sono le formulette. Non ci sono manuali su come superare le sfide. Ogni cosa di questo corso vi chiede di essere voi stessi, di scegliere e fare anche se ancora imperfetti, anche se sbagliate. Ogni occasione vi obbliga a risolvere un problema in modo originale e a scoprire qualcosa di voi stessi.

Se questo corso è anche un discorso all’interno del mondo della fotografia, credo di aver chiarito a me stessa negli anni chi è l’interlocutore e cosa voglio dirgli: cerco 16 fotografi che abbiano il desiderio ardente di diventare autori.

Cosa vuol dire essere autori però?

È sempre difficile spiegare a chi non lo sa che esiste una fotografia che non è solo quella “utile” dei giornali della moda o delle pubblicità, ma una fotografia sorella della letteratura o della poesia. 

L’autore sceglie liberamente i progetti, non ha clienti. Sceglie cosa fare e anche come farlo. Spesso lavora a progetti a lungo termine costruendo un archivio che documenta, investiga e svela qualcosa che lo coinvolge personalmente. 

L’autore ha un punto di vista sul mondo. Essere autori non è un manierismo, non è mettere un vestito artistico alle proprie foto, è costruire una consapevolezza sulla rappresentazione fotografica del reale.

“...sapevo anche che non avrei potuto vivere facendo fotografie, praticando quindi quello che insegnavo. Ironie di questo genere non rendono la vita meno amara.”
--- Robert Adams

Robert Adams ne La bellezza in fotografia scrive del dilemma che nasce dall’insegnare un modo di vivere la fotografia che non permette ai propri studenti di vivere solo di questo. C’è da faticare almeno dieci anni per mettere un piede in un museo come autore e non arrivano nella vita molti soldi per sostenere progetti personali a lungo termine. È quindi un lavoro serio, estremamente complesso e professionale, ma allo stesso tempo un lavoro che non porta successo economico. 

Noi viviamo in questa contraddizione, ma non possiamo abbandonare i nostri progetti personali e non possiamo interrompere l’insegnamento di questa fotografia. Per me è di importanza cruciale trasmettere il patrimonio di competenze, pensieri, precetti del mondo dell’arte, quello stesso mondo che ha permesso la fotografia di cui Adams, Sally Mann, Guido Guidi o Stephen Shore sono testimoni.

Quindi di cosa dovrebbe parlare una foto? Di ciò che viene fotografato, di chi fotografa, e della storia della fotografia: uomini e donne che hanno fatto sacrifici per consegnare al mondo la sua storia, che hanno cercato significato in quello che avveniva nella loro società, che hanno vissuto nella speranza di un mondo che può cambiare.

The Soul and the Machine vive in questo solco.

“L’idea dell’uso ha messo in crisi l’idea del bene”
--- Luciano Fabro

Nel 2013 mi trovavo a Chicago per via di Ordination, il mio progetto sul sacerdozio femminile proibito nella Chiesa Cattolica. Ero con Alta Jacko, la prima donna afro-americana al mondo a essere ordinata prete cattolico. Alta era una visionaria, diceva di avere premonizioni e di saper leggere nel cuore degli altri. Avevamo passato un pomeriggio in cui le ho mostrato tutto il mio scetticismo religioso e il mio grande bisogno di dare un significato a tutte quelle strutture culturali e mentali che ci ingabbiano. Prima di salutarla, mi ha offerto un biscotto e come se niente fosse, mi ha chiesto se volessi diventare una fotografa famosa: “Ti interessa il successo? Perché la vita te lo darà se lo insegui. Ma attenta, è davvero quello che vuoi?”

Questa domanda è diventata uno dei germi di The Soul and the Machine. Quel desiderio di successo in un lavoro dell’anima come quello dell’autore, è il bacio della morte.

Quando Anna Detheridge pubblica il suo libro sulle vicende dell'arte concettuale decide di intitolarlo "Scultori della speranza". Anna scrive: «Ogni artista porta con sé un lembo di verità, tenta di sollevare un poco la fitta coltre di retorica e confusione che ci ingabbia, per orientarsi verso una possibile fonte di luce, una vera e propria speranza per l'umanità». Ed è proprio attraverso la fotografia che possiamo chiedere al mondo di svelare i suoi segreti. Possiamo investigare, immaginare, riconfigurare il mondo invece che ribadire semplicemente ciò che già sappiamo. Possiamo dare un volto concreto alle persone invece che ingabbiarle in idee preconcette, possiamo cercare nel reale i segni di un futuro possibile invece che illustrarlo secondo stereotipi o luoghi comuni. 
Celan diceva: «Abbiamo la responsabilità di indicare un possibile terreno di rilancio, per non essere riassorbiti nel (...) mondo in cui Auschwitz è stato ed è ancora possibile».

Cerco 16 fotografi che vogliano diventare autori: che vogliano diventare consapevoli del loro sguardo, del perché fanno quello che fanno, che siano coraggiosi, che sperimentino, che producano molto, che portino cambiamento nel mondo, che siano anime forti, che amino il loro lavoro e sentano la responsabilità e la gioia di farlo.